Il linguista Noam Chomsky distingue due livelli di linguaggio:
– la struttura superficiale: tutto quello che diciamo a noi stessi o agli altri.
– la struttura profonda: il significato soggiacente a ciò che diciamo; informazioni inconsce che rimangono inespresse.
Tra la struttura profonda e quella superficiale possono accadere diverse cose. Nel processo di conversione dell’una nell’altra l’intento della comunicazione si potrebbe perdere o alterare. Maggiore è l’allineamento tra ciò che diciamo e ciò che intendiamo realmente, maggiore è la coerenza del nostro messaggio e, di conseguenza la probabilità di dimostrare eccellenza nel trasmetterlo. Il nostro linguaggio è ricco di indizi sulla nostra disponibilità ad accettare questa responsabilità, nonché la nostra capacità di farlo. Possiamo apprendere nuove abitudini che sostengano questo modo di lavorare e, cosa ancor più importante, possiamo imparare a riconoscere le abitudini che lo ostacolano. Il linguaggio è il luogo ideale da cui iniziare a fare la differenza.
Di seguito esaminiamo alcuni schemi linguistici che possiamo imparare a riconoscere e mettere in discussione in noi stessi: farlo non garantirà automaticamente di eccellere, ma aprirà certamente la strada. John Grinder e Richard Bandler studiarono proprio questi schemi linguistici e svilupparono una serie di domande pensate appositamente per mettere in discussione e incidere sui limiti che le persone si autoimpongono; mettono in dubbio le percezioni che ci formiamo quando cancelliamo, distorciamo e generalizziamo la nostra esperienza. Sono domande che sottolineano il modo in cui esprimiamo questi schemi nel nostro linguaggio, sia comunicando con noi stessi sia comunicando con gli altri. Mirano a riportare la persona in contatto con l’esperienza originaria e con il proprio reale potenziale. Le domande di precisione mettono in discussione i limiti che imponiamo a noi stessi. Imparando a mettere in discussione le nostre formulazioni linguistiche creiamo maggiore coerenza in noi stessi, aumentando il grado di influenza che riusciamo a esercitare su tutti gli aspetti della nostra vita.
Ci sono tre principali modi in cui diamo forma alla nostra percezione del mondo: cancellando, distorcendo e generalizzando parte della nostra esperienza.
CANCELLAZIONE
Quando cancelliamo, filtriamo alcuni aspetti della nostra esperienza, prestando attenzione ad alcuni ed eliminandone altri. Ad esempio, quando una madre è distante dal proprio bambino, solitamente riesce a filtrare eliminando tutti i suoni tranne quello del pianto del figlio. Quando cancelliamo dei dati riduciamo l’esperienza, facendole assumere le dimensioni che siamo convinti di essere in grado di gestire.
DISTORSIONE
Quando distorciamo cambiamo il modo in cui facciamo esperienza dei dati sensoriali, ad esempio quando presupponiamo che un silenzio significhi che abbiamo offeso la persona, o che un tono di voce alto voglia dire che la persona è arrabbiata con noi. Possiamo anche scegliere di distorcere la nostra esperienza in un modo che sembri funzionare per noi. Possiamo scegliere di convincerci che se una persona ci tratta duramente è perché tiene molto a noi. Nessuno di questi dati è un fatto: si tratta di invenzioni delle nostre menti creative. Alcune funzionano bene, altre meno.
GENERALIZZAZIONE
La generalizzazione è il processo tramite il quale si fa rientrare un’esperienza in una categoria più ampia di cui è un esempio. Quando, per dire, una persona viene tradita da qualcuno e dice poi “Non ci si può fidare di nessuno”, sta generalizzando. Le generalizzazioni sono alla base di ciò che decidiamo di credere riguardo al mondo, nel bene e nel male.
In alcuni casi tutti questi processi possono essere utili. Non riusciremmo a gestire la nostra vita quotidiana se non li impiegassimo in una certa misura. Studiarli è utile per poter identificare gli schemi che ci limitano, per sostituirli poi con altri che ci stimolano a dare il meglio di noi.