Origini del Meta-Modello e della PNL

Tutto cominciò molto tempo fa (all’inizio degli anni Settanta), quando un giovanotto curioso si imbatté in un terapeuta che era anche un po’ mago. Quando parlava con i clienti, riusciva a fare con le parole delle cose che sembravano magiche. Man mano che quel ragazzo curioso ascoltava le audiocassette e le trascriveva, si divertiva ad imitare gli schemi linguistici di Fritz Perls. In seguito, continuando questo gioco in altri contesti e con alcuni dei suoi studenti al college, scoprì di poter effettivamente ripetere la magia della Terapia della Gestalt. Questo sorprese tutti, ma non quanto stupì lui stesso. Ne rimase esterrefatto. È qualcosa di magico! Come funziona? Per scoprirlo, prese contatto con uno dei suoi professori, un giovane docente di linguistica, perché lo aiutasse a capire come delle semplici parole e il solo fatto di esprimerle in modo speciale potessero avere un effetto così magico. Così iniziò il viaggio. Ben presto trovarono un altro mago: Virginia Satir, rinomata ideatrice del lavoro sulle famiglie; e cominciarono a giocare anche con la struttura linguistica della sua magia. In seguito si imbatterono in un altro mago ancora, che usava le parole per ipnotizzare e per creare nuove realtà: il dottor Milton Erickson. Non molto tempo dopo, misero per iscritto le loro scoperte e le raccolsero in un libro, strutturandole, in seguito, in un modello che fu chiamato prima “Meta Modello del linguaggio in terapia”, successivamente abbreviato in Meta Modello.

Da lì nacque un nuovo campo, chiamato oggi PNL, che sta per Programmazione Neuro-Linguistica. Si dà il caso che quei maghi che Bandler e Grinder modellarono mettevano in atto la loro magia nell’ambito della psicoterapia e/o dell’ipnoterapia. Semplicemente parlando, e parlando in modo particolare, facilitavano le trasformazioni nella vita di uomini e donne. I due modellatori ne furono assolutamente affascinati. Ne derivarono molte domande. E fu proprio quella meraviglia che li portò a comprendere veramente a fondo la reale struttura di questa‘magia’.

Come riescono questi geni della comunicazione a ottenere effetti così potenti attraverso l’uso delle parole?

La magia della trasformazione sta nelle parole specifiche di cui si servono, nel modo speciale in cui le pronunciano, oppure nella comunicazione non verbale che fa loro da sostegno?

Che cosa può spiegare questa magia? È possibile impararla? È possibile imparare a riprodurla?

Questi modellatori così curiosi avevano alle spalle esperienze formative diverse: la linguistica, la grammatica trasformazionale, la semantica generale, la programmazione dei computer e la matematica. Ma ormai, davanti a loro, c’era un campo completamente nuovo, il campo della psicologia. Così vi si addentrarono da un punto di vista completamente diverso, e senza aver avuto una formazione secondo gli schemi tipici su cui, allora, la psicologia si fondava. Questo significava diverse cose: prima di tutto che non avevano un diretto interesse per le varie teorie psicologiche di quel periodo (per esempio la psicanalisi, il comportamentismo, la psicologia centrata sul cliente, l’umanismo, etc.). In realtà, per loro, quelle teorie non avevano nessuna importanza; non era su di esse che focalizzavano la loro attenzione. Osservando la terapia della Gestalt, i sistemi di terapia familiare e l’ipnoterapia clinica, si concentrarono su ciò che funzionava. Avevano visto funzionare ciascuna di queste diverse terapie. Funzionavano in varia misura e con vari tipi di clienti. E questo voleva dire senza dubbio che, se funzionavano tutte, doveva esserci un’unica struttura che ne consentiva il funzionamento. Questo fece nascere in loro l’idea che, se fossero riusciti a trovare la struttura che stava al di sotto, dietro e al di sopra dei processi, delle parole, dei rituali, etc., avrebbero potuto apprendere i segreti e la struttura della magia; e in seguito avrebbero potuto trasmetterla ad altri. E così accadde.