[PNL e convinzioni] L’esempio di Milton Erickson

Quando Milton Erickson aveva 19 anni fu colpito dalla poliomielite. Non poteva muoversi, non poteva parlare. Tutti pensavano che fosse in coma. Era lì, a 19 anni, alle soglie della vita, intrappolato in un corpo che non rispondeva in nessun modo.

Alcuni avrebbero provato rabbia per questo. Alcuni avrebbero potuto considerare l’avvenimento come una conferma del fatto di non valere nulla. Altri avrebbero potuto sentirsi impotenti. Erickson avrebbe certamente potuto sentirsi disperato, specialmente quando sentì il medico dire a sua madre che non sarebbe sopravvissuto fino alla mattina seguente.

Cosa fare in una simile situazione? Dipende dalle convinzioni.

Erickson cominciò a investire ogni grammo di energia che aveva nel cercare di scoprire se potesse muovere una parte qualunque del suo corpo. Scoprì che poteva sbattere un po’ le palpebre. Gli costò un altro incredibile sforzo e un certo tempo per riuscire a ottenere l’attenzione di qualcuno, e far capire che si trattava di un segnale. E poi gli costò uno sforzo ancora più intenso, in termini di energia e di tempo, la definizione di uno schema di comunicazione. Dopo molte ore di intensissimi sforzi, fu infine capace di far pervenire il messaggio che desiderava a sua madre, che consisteva nel chiederle di girare il letto verso la finestra in modo da poter vedere il sole sorgere la mattina successiva.

Credo che questo sia, in parte, ciò che ha reso Erickson l’uomo che è stato. Non il contenuto della sua vita, ma il modo con cui ha affrontato le sfide, modo che ha poi conservato per tutta la vita .

Quando sono andato a trovarlo, doveva avere circa 75 o 76 anni, e qualcuno gli ha chiesto quanto a lungo si aspettasse di vivere. La risposta è stata: “Guardando la cosa da un punto di vista medico, dovrei farcela fino a 70 anni”.

Questo vi dice indubbiamente qualcosa circa le sue convinzioni e il suo atteggiamento.

Sono andato a trovarlo quando avevo circa 20 anni. C’eravamo solo io e un altro ragazzo, Jeffrey Zeig. A un certo punto Erickson ci ha mostrato un biglietto che aveva ricevuto da sua figlia. Sul davanti c’era un personaggio dei fumetti che stava in piedi su un minuscolo pianeta in mezzo all’universo gigantesco, con la scritta: “Quando pensi a quanto è immenso, vasto e complesso l’universo, non ti senti un po’ piccolo e insignificante?”.

Quando si apriva il biglietto, dentro era scritto: “Neanch’io”.

Ecco il punto essenziale di Erickson.

Non credo che il suo potere di guarigione dipendesse dalla sua abilità di dare comandi nascosti o di mettere le persone in stato di ipnosi. In effetti, quando mia moglie andò a trovarlo, disse di lui: “Ho letto tutti i libri su Erickson, sono stata un po’ con le persone che usano le sue tecniche. Tutte le presupposizioni degli schemi linguistici, potevo sentirle tutte in quello che faceva. Effettivamente, ho pensato che le usasse in modo molto più banale di persone come Richard Bandler o Steve Gilligan. Ma lui aveva un tale rapport con l’interlocutore, a un livello così profondo, che io non mi sarei neppure sognata di non fare come diceva, per paura di rompere quel rapport.

La qualità del rapport era il potere di Erickson.